Donne private dei diritti, la testimonianza sul campo della giornalista Lucia Goracci

Donne private dei diritti, la testimonianza sul campo della giornalista Lucia Goracci

“Perché non mi guardi?”. La domanda che Lucia Goracci rivolse a un talebano che le rispondeva senza guardarla in faccia, resterà nella storia del giornalismo, come resterà nei ricordi degli studenti dell’Istituto Elena Principessa di Napoli e del liceo classico Varrone l’incontro di mercoledì ‘i miei occhi hanno visto donne private dei diritti’, nella sala convegni della Camera di Commercio. Posti in piedi, silenzio attento, nell’ascoltare un primo resoconto della situazione in Iran, Afghanistan e non solo. Poi le domande, tante, degli studenti, alle quali non si sottrae e a volte è doloroso dare risposte.

Prima però un breve excursus su casa nostra: da Franca Viola, 1966, che rifiutò per prima il matrimonio riparatore,  le leggi recenti in favore delle donne e quella del 1995 che introdusse il reato contro la persona per violenze “ricordiamoci che le conquiste non sono mai irreversibili”. Lo sanno le donne iraniane, dopo la caduta di Reza Palevi,  lo sanno i ragazzi afgani che sono piombati dopo 20 anni sotto un fondamentalismo che non avevano conosciuto.

“Una donna  vale la metà di un uomo nei diritti ereditari e nei risarcimenti di sangue, non possono passeggiare da sole, non possono guidare, Il velo e un sopruso, un simbolo, le donne di Herat, di Kabul preferiscono darsi fuoco. Tra donne c’è solidarietà, noi raccontiamo i fatti, non li interpretiamo, la verità sulle giovani avvelenate per poter chiudere le scuole femminili forse non la sapremo mai, i funerali degli attivisti avvengono di notte. Ma questa volta in Iran non si torna indietro: i giovani vedono il mondo fuori e dentro, sui tetti ci sono antenne paraboliche, mimetizzate e pronte ad essere rimosse. Non sono più disposti a fare compromessi, ma ci vorranno due generazioni. Le madri raccontano la favola del pesciolino nero cher arriva al mare e viene mangiato “non importa quanto avrò vissuto. Io vedo da qui la vita che resta attaccata alle persone, atti di viltà ed eroismo. Il ritorno a casa? Parto con sollievo, ma anche con dolore e senso di colpa. Vorrei portarli via tutti. Cosa fare? parlarne, confrontarsi , conoscere, partecipare, in attesa di un approccio europeo a 27, accordi e politiche di sviluppo”. Serve aderire alla campagna adottiamo un prigioniero come abbiamo fatto? Chiede Ersilia Brambilla segretara nazionale Auser, che ha organizzato l’incontro insieme al coordinamenti donne Spi Cgil ” qualche risultato c’è stato  è importante essere capsci di incidere e fare pressione politica”.

Francesca Sammarco