La documentarista reatina Giorgia Rubera: “Così racconto il dramma dei migranti”
Tra le migliaia di persone che hanno partecipato a Tunisi alla manifestazione di protesta contro il presidente Saied che vuole bloccare l’arrivo di migranti sub-sahariani, c’era anche la reatina Giorgia Rubera arrivata in Tunisia per girare un documentario.
“Per me raccontare ciò che succede è un’urgenza” dice Giorgia.
Perché la scelta di scendere in piazza con il popolo tunisino? “A Zarzis, città della costa tunisina nei pressi del confine libico, ci sono madri che piangono i corpi dei loro figli annegati in mare. Le donne mostrano le foto e i vestiti dei figli come reliquie, le loro immagini sono l’ultima traccia delle loro vite; non possiamo ignorare i loro lamenti e le loro storie”.
Sono tante le madri che piangono i figli. Tu le hai ascoltate “A settembre una barca partita da Zarzis nel sud-est della Tunisia, con 18 ragazzi a bordo è naufragata; i loro corpi sono stati recuperati dalle autorità e poi se senza nemmeno il prelievo del DNA, sepolti nel cimitero Jardine d’Afrique dove si trovano i corpi di chi muore senza nome. Prima invece si moriva in mare finiva in una discarica”.
Qualcuno però ha fatto qualcosa per questi corpi senza nome “Due uomini: Chamseddine Marzoug e Rachid Koraïchi. Il primo è un ex pescatore, che chiese alle autorità un terreno per poter dare una degna sepoltura a tutte le persone morte in mare nella speranza di raggiungere l’Europa, l’altro è Rachid Koraïchi, artista sufi algerino, che ha realizzato il secondo cimitero a Zarzis che ospita i corpi trovati senza nome e lo ha chiamato Jardine d’Afrique dove riposano i corpi”.
Hai sentito la necessità di raccontare queste storie.
“Il 4 febbraio scorso ero a Tunisi ed ho visto una lunghissima lista di nomi affissi su un muro e mi hanno spiegato che erano i nomi dei morti in mare; accanto ad ogni nome la causa di morte: annegamento, disidratazione e altre tremende descrizioni, se il corpo non viene trovato solo la parola sparito. E questo mi ha lasciata senza parole di fronte alla portata di questa strage. Le madri e le sorelle degli scomparsi chiedono verità e giustizia mentre ogni giorno assistiamo a tragedie umane che lasciano senza parole”.
C’erano molte madri alla manifestazione? “Tantissime perché si impediscono gli accessi legali non restano che quelli illegali e morti e cimiteri crescono ogni giorno.
Da fine settembre, in un clima di grande tensione, le madri in cerca dei corpi sono arrivate ad aprire le tombe del cimitero Jardine d’Afrique che ora è chiuso e mi sono dovuta fermare anche con il mio documentario. Ma la cosa più importante oggi e non voltarsi dall’altra parte affinché i vivi e i morti abbiano giustizia”.
Paola Corradini